Centro di Formazione e Ricerca in Analisi Transazionale
Centro di Formazione e Ricerca in Analisi Transazionale

       Tutto il mondo è un palcoscenico: giochi, enactment e controtransfert (1)

di JO STUTHRIDGE (2)

Traduzione di Fabiola Santicchio (3)

 

 

Abstract

This article focuses on how games unfold as transferential dramas in the consulting room theater. The author explores how the therapist’s countertransference can become an avenue for under-standing the client’s unspoken communication. Eric Berne’s idea that games can be played in three degrees of intensity is suggested as a framework for thinking about and using countertransference.

The author proposes that resolution of a game often requires an emotional shift within the therapist.

Riassunto

Questo articolo focalizza il tema dei giochi, concettualizzati come drammi transferenziali nel teatro della stanza di terapia. L’autrice approfondisce come il controtransfert del  terapeuta può diventare l’accesso principale per comprendere la comunicazione “non detta” del cliente. L’idea di Eric Berne, secondo cui i giochi possono essere giocati in tre gradi di intensità, viene proposta come uno schema per pensare ed usare il controtransfert. L’autrice propone che la risoluzione di un gioco spesso richiede un cambiamento emotivo da parte del terapeuta.

Parole Chiave

giochi, enactment, controtransfert, gradi dei giochi, intersoggettività, transfert, inconscio, Britton, Bucci

 

 

 

Tutto il mondo è un palcoscenico.

E tutti gli uomini e le donne semplicemente attori.

Shakespeare, Come vi piace, Atto II Scena VII

 

Berne (1964/1996) ritiene che i giochi siano ubiquitari nelle relazioni umane: “la maggior parte del tempo della vita sociale viene occupato giocando giochi” (p. 61). Il suo libro A che gioco giochiamo (Berne 1964/1996) ha catturato l’immaginazione di milioni di persone che negli anni 60’ e 70’ si sono rispecchiate nelle sue pagine. Attualmente, il libro sembra datato e sessista, e il termine gioco è stato connotato negativamente, suggerendo un significato di colpa e manipolazione. Tuttavia il termine colloquiale di Berne traduce in modo adeguato qualcosa del conflitto interpersonale nei complessi grovigli transferali, che sono più spesso chiamati enactments all’interno dell’attuale letteratura psicoanalitica.

Sia il gioco che l’enactment descrivono l’espressione comportamentale del transfert e del

controtransfert, e da questo punto di vista, la teoria di Berne ha anticipato di diversi decenni il concetto psicoanalitico di enactment. Entrambi i termini connotano una performance: il modo in cui mettiamo in scena una parte e inconsciamente arruoliamo altre persone per giocare un ruolo complementare con lo scopo di attualizzare le aspettative transferali. Berne (1964/1996) in origine definisce un gioco come una “serie progressiva di transazioni ulteriori rivolte ad un risultato ben definito e prevedibile” (p. 64). McLaughlin (1991) definisce l’enactment come “un processo congiunto di tentata mutua influenza e persuasione” (p. 605). I giochi e gli enactments riguardano elementi non verbali, interpersonali e inconsci del processo terapeutico. Questi costrutti, sebbene non possano considerarsi sinonimi, indicano un’area similare, e ciascun costrutto può integrarsi

utilmente con l’altro.

Ronald Britton (2007), in un poster presentato alla Conferenza dell’Associazione Internazionale Psicoanalitica (IPA), ha suggerito che l’enactment transferale può essere usato come rifugio dalla realtà dell’analisi, “sviluppando la situazione analitica all’interno di un gioco” (p.8). Come Berne, Britton stava usando il termine per evidenziare le funzioni difensive dell’enactment, spiegando che esso può servire per evitare il lavoro dell’analisi ed altre essenziali realtà scomode. Berne (1964/1996, p. 19) suggerisce che i giochi assolvono a quattro funzioni primarie: sollievo dalla tensione, evitamento di situazioni pericolose, gratificazione (carezze), e omeostasi psichica. La mia focalizzazione in questo articolo è sul modo in cui i giochi possono assolvere ad una quinta funzione nel prezioso percorso di comunicazione: i giochi possono comunicare significati che non possono essere espressi a parole.

 

La teoria del gioco di Berne e il Dramma

La teoria analitico transazionale del gioco necessita di essere compresa all’interno del contesto più ampio delle idee di Berne sul transfert e sul copione. Negli anno 60’ Berne scrive sul transfert come un comportamento e un dramma, mentre nella psicoanalisi classica, il transfert era inteso in termini di percezioni e proiezione.

I giochi si presentano come parti di agglomerati maggiori e più complessi di transazioni denominati copioni.

 

Il copione appartiene al regno dei fenomeni di transfert, cioè un derivato, o più propriamente un adattamento di reazioni ed esperienze infantili. Però esso non si occupa semplicemente di una reazione di transfert o situazione di transfert; è un tentativo di ripetere in forma derivata un intero dramma transferenziale, spesso suddiviso in atti, esattamente come i copioni teatrali…(Berne, 1961, p. 117).

 

Un gioco può essere inteso come un atto centrale o una scena di copione. Questa idea, secondo cui il transfert è attualizzato e non è semplicemente un insieme di reazioni o sentimenti basati su proiezioni percepite, è stata un'innovazione centrale nel pensiero di Berne e costituisce la base della teoria del gioco e della teoria del copione. Berne cita le idee di Glover sul transfert come le più vicine al suo pensiero in quell’epoca: “La storia dello sviluppo del paziente. . . viene ri-recitata nella stanza dell’analisi (Glover, 1955, come citato da Berne, 1961, p. 129).

Berne era interessato al modo in cui il transfert è riattualizzato nel corso della vita, trasformando le nostre vite in giochi.

 

 

Un gioco comporta una sequenza di eventi in cui una persona utilizza inconsciamente l'altro, non solo per percepire il passato nel presente, ma per ottenere una risposta che conferma le sue aspettative transferali. Il partner di gioco diventa un personaggio nel copione. 

Berne (1961) sviluppa la teoria dei giochi lavorando con i gruppi di terapia. Egli nota che i

partecipanti al gruppo si comportano come direttori di casting, scegliendo inconsciamente partner di gioco con “considerevole penetrazione intuitiva (p. 119), per riprodurre le parti richieste dal loro copione. “Quando ha assegnato tutte le sue parti, il paziente comincia a cercare di ottenere dalle persone che ha scelto per le singole parti le risposte desiderate” (p.119). Un gioco si verifica quando una sottile provocazione da parte di una persona (gancio) si aggancia all’ansia difensiva dell'altro (anello), spingendo, pressando, o pungolando l'altro per ottenere un previsto tornaconto comportamentale ed emotivo. Lo scambio di transazioni ulteriori crea un accumulo di tensione che porta ad un culmine (che potrebbe includere un scambio improvviso nei ruoli) e si conclude con un momento di sorpresa o di ironia drammatica. Ogni giocatore si chiede come mai sono arrivato qui?.

 

La descrizione berniana (1964/1996) dei giochi nelle relazioni della vita reale presuppone che ci siano sempre due giocatori, e che entrambi siano ugualmente intrappolati in dinamiche inconsce, ognuno impegnato a giocare una parte del proprio copione personale. Tuttavia, quando Berne scrive sui giochi nella stanza di analisi, egli ritiene, in sintonia con il pensiero tradizionale a lui contemporaneo, che se un terapeuta viene catturato in un gioco o agisce il suo controtransfert, questo rappresenta un errore grave (Berne, 1972, pag. 352). Ciò significava che il terapeuta aveva bisogno di più terapia o di formazione.

Secondo Berne (1964/1996), “la procedura terapeutica corretta” (p. 78) comporta il riconoscimento oggettivo dell’invito del cliente al gioco, rifiutando di giocare il ruolo complementare e usando poi la confrontazione per svelare le dinamiche sotterranee. Per esempio, nel gioco “Gamba di Legno” con un paziente che evita uno stato di benessere, il messaggio ulteriore del paziente è “cosa ti aspetti da un malato?” e l’antitesi è “Non mi aspetto nulla, la domanda è cosa ti aspetti tu da te stesso?”.

Il metodo berniano implica due assunti chiave: il primo è quello per cui i giochi nella stanza di terapia sono unilaterali (coinvolgendo solo il copione del cliente) e il secondo è quello per cui un terapeuta competente può essere consapevole sia della provocazione del cliente sia della propria esperienza controtransferale. Questi due assunti sono stati da allora seriamente messi in discussione dalla teoria dell’enactment.

 

Enactment

A metà degli anni 80’ gli psicologi americani dell’Io hanno cominciato a mettere in discussione l’idea prevalente relativa al fatto che è solo il cliente a portare il transfert nella stanza di analisi, mentre il terapeuta qualificato rimane in una posizione superiore e distaccata. Essi hanno iniziato a riconoscere che anche terapeuti esperti agiscono comportamenti inconsciamente con i clienti (Jacobs, 1986; McLaughlin, 1987). Renik (1998) nota che le nostre azioni sono a volte il primo indizio rispetto ai nostri sentimenti controtransferali, e che ce ne accorgiamo solamente dopo l’evento. Per esempio, un terapeuta può agire la sua irritazione con il cliente cominciando inavvertitamente la seduta due minuti più tardi. In termini berniani quell’interazione costituisce uno scambio di gancio e anello all’interno di un gioco bilaterale.

Jacobs (1986) e McLaughlin (1987) usano il termine enactment per descrivere queste interazioni non verbali inconsce. McLaughlin (1991) definisce il termine in senso lato per riferirsi a qualsiasi gesto non verbale e, in un senso ristretto, a eventi che entrambe le parti esperiscono come la conseguenza del comportamento dell’altro (p. 599). Come Berne, McLaughlin intende questi modelli come ubiquitari: “siamo impegnati per tutta la vita con le parole e le azioni orientate ad ottenere qualche risposta in noi stessi e nell'altro in linea con queste aspettative [transferali] (p. 599). Egli suggerisce che le parole possono anche diventare una messa in atto quando vengono usate comebastoni e pietre (p. 598) per esercitare pressioni sugli altri.

Negli anni 1990, gli analisti di orientamento relazionale vedevano sempre più gli enactments come bidirezionali, inevitabili, e preziosi quando analizzati (Aron, 2003). Ellman (1998), Jacobs (1986), McLaughlin (1991), Maroda (1998), Renik (1998), e Stern (2010) tutti citano esempi di comuni enactments in cui il comportamento del terapeuta si sarebbe potuto correlare sia a ripetitivi pattern del cliente sia alla storia personale o al copione del terapeuta. Ad esempio, Jacobs (1986) si descrive mentre ascoltava silenziosamente e con soggezione il Signor K. nello stesso modo in cui era solito ascoltare suo padre parlare a tavola. Si rende conto che il suo silenzio era un enactment che nascondeva sentimenti di ostile competizione sia verso il padre sia verso il signor K. Ellman (1998) documenta i cambiamenti nella teoria dell’enactment e conclude che la vergogna e il narcisismo dei terapeuti hanno reso difficile che si parlasse prima nella storia della psicoanalisi di enactment reciproci.

 

La teoria dei giochi a partire da Berne

Berne era molto avanti nel comprendere il significato di questi fenomeni intersoggettivi, sebbene la teoria dei giochi non si sia evoluta per molti anni dopo di lui. Infatti, gli analisti transazionali sono stati resistenti ad abbandonare un approccio unilaterale ai giochi in terapia, nonostante le forti evidenze nella letteratura più ampia degli ultimi 30 anni, secondo cui gli enactments reciproci possono offrire uno sguardo potente sull’inconscio del cliente (Aron, 2003). Mi chiedo se lo sviluppo della teoria dei giochi sia stata ostacolata da persistenti associazioni con il seguente interrogativo: il coinvolgimento in un gioco è sempre un segno di incompetenza di un terapeuta?

Più recentemente, le prospettive relazionali all’interno dell’analisi transazionale (Cornell & Hargaden, 2005; Hargaden & Sills, 2002), che presuppongono che i giochi dei clienti e il copione siano attualizzati nel presente tra il cliente e il terapeuta, hanno creato il terreno per sviluppare gli elementi bidirezionali e inconsci della teoria del gioco.

Dal canto suo, Woods (2002) mette in discussione la focalizzazione di Berne rispetto alla confrontazione del comportamento del cliente, suggerendo che questo potrebbe essere legato a un processo regressivo, una scivolata nella disperazione, o anche nella psicosi. Egli mette in evidenza il valore del gioco come codificazione inconscia modificata (Woods, 2000, p. 94) e sviluppa un approccio interpersonale ai giochi nel setting della terapia, utilizzando la teoria dell’identificazione proiettiva (Woods, 1996).

Da questa prospettiva, la persona A proietta una parte non riconosciuta di sé su B, che poi si identifica con questa e agisce la proiezione, confermando così le aspettative transferali. Woods si ferma prima di considerare il terapeuta come un giocatore in azione con i propri vissuti transferali attivati. Invece, descrive il terapeuta come catturato dalla patologia del cliente.

Hine (1990) estende la teoria del gioco all’interno di una prospettivac completamente bidirezionale, nella quale entrambi i giocatori sono ugualmente immersi nel gioco. Tuttavia, l’autrice confina la sua applicazione della teoria alla vita di tutti i  giorni, non a relazioni terapeutiche. Hunt (2011) e Shadbolt (2012) sviluppano entrambi il modello bidirezionale di Hine, usando (1972) la formula G di Berne, applicandola alla diade terapeutica. Hine descrive la supervisione come la chiave per lavorare con il materiale inconscio del terapeuta all’interno di un gioco, e Shadbolt (2012) offre un esempio  toccante di uso della self-disclosure per creare nuovi significati a partire da un processo di gioco.

 

La dinamica intersoggettiva dei giochi

La teoria dei giochi, considerata da una prospettiva contemporanea, offre un unico modo per comprendere le dinamiche intersoggettive. La nozione berniana di transazioni ulteriori è un tentativo di spiegare come due menti comunicano inconsciamente. Durante un gioco due comunicazioni accadono simultaneamente: una conscia e verbale (transazioni a livello sociale) e l’altra non conscia e non verbale (transazioni a livello psicologico). Una transazione ulteriore coinvolge sistemi differenti di funzioni simboliche che sono attive nello stesso momento con significati incongrui. Le transazioni non verbali possono includere qualsiasi cosa, da azioni e comportamenti osservabili a cambiamenti sottili nel tono, intonazione, ritmo della voce e dell'espressione facciale, che vengono comunicati e colti ad un livello non conscio. Bucci (2001), scienziata cognitivista, sostiene che gran parte della comunicazione emotiva prende vita a livello non verbale, per esempio attraverso sfumature di gestualità, movimenti oculari e della respirazione che possono agire in modo pienamente potente al di sotto della consapevolezza. L’autrice suggerisce che non c’è alcun bisogno di riferirsi a “una percezione supersensoriale o ad altre spiegazioni astruse” (p. 44) per capire come una mente è in grado di comunicare inconsciamente con un’altra.

Un gioco bilaterale comincia quando il cliente inconsciamente studia il terapeuta come un

possibile partner di gioco, cercando le sue vulnerabilità che incontrano la descrizione del personaggio nel proprio copione. Ritornando alla metafora teatrale di Berne, la transazione ulteriore del cliente incontra l’intero cast interno di personaggi del terapeuta, che stanno aspettando dietro le quinte la chiamata del regista. Il cliente, usando tutta l’esperienza di un regista esperto, starà ad ascoltare la gamma di possibilità disponibili nella ricerca di una particolare qualità. Un aspetto della mente del terapeuta, il più adatto per la parte, si fa poi avanti per prendere il centro della scena, e ha inizio il dramma. Il cast potrebbe includere personaggi ombrosi che normalmente evitano la luce o quelli che stanno cercando un costume per la prima volta (elementi della psiche non formulati).

A questo punto prende l’avvio uno scambio di transazioni ulteriori complementari, ciascuna è orientata ad affondare più profondamente i giocatori entro un punto morto. Le idee di Stern (2010) chiariscono queste dinamiche rigide. Egli argomenta che durante un reciproco enactment, i ruoli conflittuali all’interno del dramma relazionale esistono come entità separate nelle due menti. Le parti dissociate del sé, che non possono essere mantenute all’interno di una sola mente senza il rischio di una disregolazione affettiva, sono invece attualizzate tra le due persone. In termini analitico transazionali, ogni giocatore esclude il ruolo complementare e lo provoca nell’altro. In particolare i giochi ruotano attorno a scissioni di polarità, come accusatore e accusato, persecutore e vittima, seduttore e sedotto, traditore e tradito. Per esempio, il cliente agirà come un persecutore,

provocando la sua esperienza da vittima nel terapeuta, o, viceversa, il cliente agirà il ruolo di vittima e recluterà il terapeuta per il ruolo di persecutore.

Gli scambi di gioco e le escalations verso un grado più elevato di gioco possono essere compresi come tentativi disperati di evitare che emozioni non simbolizzate diventino conscie. Il mio pensiero su questo tema è in linea con la formulazione della English (1976), che si è focalizzata sullo scambio di transazioni ulteriori. L’autrice concettualizza lo scambio come una reazione di panico che avviene solo quando un giocatore teme che l’altro possa smettere di giocare.

La soluzione di un gioco implica che un giocatore mantenga entrambi i ruoli all’interno della consapevolezza. Per il terapeuta, questo può significare la scoperta di un aspetto non desiderato o dissociato della propria esperienza, un processo che spesso richiede il fare i conti duramente con la propria onestà emozionale. La capacità del terapeuta di simbolizzare l’esperienza e di connetterla ad emozioni incongrue può favorire l’opportunità di incrementare l’abilità del cliente a contenere un conflitto interno (Stern, 2010).

I giochi inoltre possono essere compresi sia come ripetizioni del passato sia come vie di uscita da un vissuto emergente. Essi trasmettono esperienze non verbalizzate, significati che o sono stati repressi o non sono stati ancora formulati in pensieri, sentimenti e parole. Essi sorgono nel punto di incastro tra i due copioni, in cui il terapeuta diventa un attore all'interno del copione del cliente e contemporaneamente gioca un ruolo nel proprio copione. Attraverso la drammatizzazione tra le due menti, le esperienze non verbalizzate si trasformano in pensieri e sentimenti simbolizzati.

Da questo punto di vista, i giochi svolgono un'importante funzione comunicativa. La personalità e l’inconscio del terapeuta, piuttosto che essere elementi contaminanti sfortunati, diventano strumenti indispensabili (Slavin, 2010). Cliente e terapeuta insieme creano un'esperienza unica, e il controtransfert del terapeuta diventa un canale potente per ascoltare una storia che non può essere raccontata a parole.

 

Tre gradi dei giochi

La proposta di Berne (1964/1996), secondo cui i giochi sono giocati attraverso tre diversi gradi di intensità (come tre gradi di ustioni), fornisce un quadro esplicativo eccellente per riflettere sui differenti livelli di processo simbolico implicato nei giochi e anche sull’esperienza controtransferale del terapeuta. Berne definisce un gioco di primo grado come “quello socialmente accettabile nel suo raggio di azione”, un gioco di secondo grado come “quello dal quale non insorge un danno permamente e irrimediabile ma piuttosto come quello che i giocatori vorranno nascondere al pubblico”, un gioco di terzo grado come “quello giocato sul serio, e che termina all’ospedale, in tribunale o all'obitorio" (p. 64).

Questa idea è nota a tanti, per esempio, nella misura in cui un gioco all’interno della vita di coppia può salire di grado di intensità negli anni per uno scambio di transazioni ulteriori, durante situazioni sociali che portano a vicende che sono mantenute nascoste agli amici e che eventualmente culminano in battaglie legali o violenza caratterizzata da un gioco di terzo grado. Le definizioni prevalentemente fluide di Berne descrivono le manifestazioni comportamentali dei processi meno consapevoli.

Cornell (2011) interpreta questi gradi di gioco come una rappresentazione del livello sociale

(primo grado), psicologico (secondo grado), e corporeo (terzo grado) di organizzazione

intrapsichica, che possono essere applicati a tutti i campi dell’esperienza umana. L’autore aggiunge che Berne “non ha mai differenziato quali stili e livelli di intervento dovrebbero essere necessari per lavorare efficacemente con questi livelli di difesa” (p. 338).

Britton (2007) propone un costrutto parallelo, operando un confronto tra la discussione di Klein sul processo analitico con tre ragazzi (1927) e livelli differenti di enactment nei cliente adulti.

L’autore espone il lavoro di Klein con Gerald, da lei discusso come un ragazzo che non mostrava nulla di strano; Peter, da lei descritto come nevrotico; e il caso senza nome di un ragazzo di 12 anni che l’autrice descrive come un minore con comportamento antisociale. Tutti e tre i ragazzi rivelavano fantasie simili violente, ma la loro relazione con esse era molto differente. Gerald attualizzava la sua fantasia attraverso il gioco nella stanza di analisi. Anche se si ritraeva dalla verbalizzazione, era in grado di simbolizzare i suoi conflitti interni attraverso il gioco. Peter era così spaventato dalle sue fantasie che era inibito e completamente incapace di giocare. Attraverso il lavoro sul transfert lui imparò a simbolizzare la sua esperienza. Il ragazzo con comportamento antisociale attualizzava completamente la sua fantasia con il furto e violenze sessuali su ragazze.

Britton (2007) mette in relazione i resoconti delle analisi con i tre ragazzi di Klein e i tre livelli di enactments negli adulti: (1) enactment come l’espressione inconscia di un pensiero organizzato, (2) enactment come azione, alternativa al pensare e al sentire, (3) enactment come “evacuazione di stati psichici” (p. 6) o il tagliare via dalla mente un’emozione a cui non si è data forma. Ogni livello rappresenta un diverso grado di capacità riflessiva o di simbolizzazione e la capacità di tollerare il conflitto. Britton attinge alla teoria di Bion (1963) il concetto secondo cui la mente mostra diversi livelli di funzionamento simbolico, da quello “non elaborato” o costituito da dati sensoriali grezzi

fino ai processi simbolici complessi che creano il significato emotivo della percezione, compresi i pensieri, sentimenti e sogni.

A partire da questa premessa centrale, secondo cui i gradi dei giochi rappresentano livelli differenti di organizzazione psichica, i giochi di primo grado possono essere considerati l’esternalizzazione di un pensiero simbolizzato (simile al primo livello di Britton), mentre i giochi di secondo e terzo grado riguardano l’esperienza che non è mai stata simbolizzata (pensata o sentita) o non è mai stata contenuta come un conflitto interno.

I giochi di primo grado vengono giocati al di fuori della consapevolezza, ma rimangono accessibili alla coscienza, mentre i giochi di secondo e terzo grado coinvolgono significati che sono più difficili da raggiungere a livello di consapevolezza. La differenza tra ogni grado può essere esperita nel controtransfert.

I metodi cognitivi e oggettivi di analisi di Berne funzionano bene con i giochi di primo grado, in cui è presente un ragionevole grado di funzionamento simbolico. Il controtransfert è di solito consapevole o preconsapevole e accessibile cognitivamente. Sappiamo ciò che stiamo sentendo. I metodi di Berne sono meno efficaci, tuttavia, con i giochi di secondo e terzo grado, perché a questi livelli, l'esperienza evocata in entrambi i partecipanti è probabile che sia dissociata dalle capacità di simbolizzazione. Cioè, siamo in grado di sentire qualcosa senza sapere di cosa si tratta. A livello di secondo grado, il controtransfert è spesso rivelato attraverso immagini o associazione libera e spesso riguarda un sentimento o un vissuto che preferiamo nascondere a noi stessi e agli altri. I

giochi di terzo grado coinvolgono un sentimento altamente tossico e non elaborato, e un

controtransfert sentito in modo viscerale. Berne (1972, p. 111) associa questi tornaconti tragici ed esiti rigidi a “copioni tissutali", un termine che usa per descrivere pattern copionali derivanti da traumi e abusi in età precoce.

 

Controtransfert e giochi di primo grado

Il controtransfert con i giochi di primo grado è accessibile ponendo attenzione ai pensieri consci e agli stati emotivi. Il terapeuta si accorge che qualcosa non quadra. Per esempio, nel gioco “Perché no…Si ma” (PNSM) il terapeuta sarà consapevole della sensazione di disorientamento e di sconfitta.

Una volta che individuiamo lo stato emotivo, i processi cognitivi possono essere usati per

comprendere il pattern di gioco e formulare un intervento, collegando le dinamiche attuali con il passato del cliente. Oppure, come Berne (1961) afferma, “Il dramma vitale presente deve essere pertanto riportato alle sue origini storiche in modo da permettere che il controllo del proprio destino passi dal Bambino all’Adulto, dall’inconsapevolezza archeopsichica alla presa di coscienza neopsichica” (p. 118).

Novellino (1984) evidenzia che il passo cruciale nel lavoro con il controtransfert è “il permesso di avere un controtransfert” (p. 65). I sentimenti del terapeuta possono offrire l’insight sul proprio copione e sul ruolo complementare non riconosciuto all’interno del copione del cliente. Dallo stile del terapeuta e dalla sua creatività dipenderà come il terapeuta poi userà questa informazione.

 

Janet

Janet era uscita da un matrimonio in cui lei si era sentita vittima per oltre 20 anni, ma ora a 60 anni, lei si sentiva cronicamente depressa. Un lungo, lento gioco si realizzò tra noi nel quale ogni mio intervento finiva in un cul-de-sac di negatività, un vicolo cieco. Janet descriveva le interazioni dove gli altri apparivano freddi e indifferenti. Sentiva la vita ingiusta. Mi raccontò qualcosa di simile circa il suo passato in un ambiente familiare che assomigliava ad un frigorifero emotivo. I miei interventi erano generalmente infangati con confutazioni e sospiri pesanti: “Capisco cosa intendi, ma…” (non è così attualmente).

Con il senno di poi, posso riconoscere che ero determinata ad aiutare Janet, perché sentivo che era stata delusa dalla nostra categoria professionale quando il suo precedente terapeuta aveva concluso bruscamente la terapia a causa del suo trasferimento lavorativo. In seguito a questa perdita, Janet si sentì devastata e tentò il suicidio. Si avvicinò a me per cominciare da capo, sentendosi sia disperata che terrorizzata da un eventuale altro abbandono. Inconsciamente decisi di dimostrare la mia competenza a Janet e probabilmente il mio valore ad una madre interiorizzata. Mi feci agganciare nel mio copione fin dall’inizio. A causa della mia testardaggine e della paura di Janet di un’esperienza già vissuta, il modello del gioco si è prolungato.

Per ironia della sorte, le cose hanno cominciato a smuoversi quando ho cominciato a sentire e ad accettare un senso di sconfitta. A quel punto mi sono resa conto del gioco “Perché no…,Si ma”, rendendomi conto che mentre stavo ostinatamente cercando di aiutare Janet, lei aveva inconsciamente deciso di sconfiggermi, ricreando la sua esperienza di bambina con sua madre inflessibile. Ho cominciato a vedere che la negatività incessante di Janet formava un fossato che non potevo attraversare, evocando in me la sua esperienza di bambina sconfitta. Poiché mi stavo comportando da ostinata, sono stata lenta ad accettare ciò che stavo provando.

Berne (1964/1996) evidenzia che il gioco “Perché no…,Si Ma” è essenzialmente un gioco che

emerge da conflitti che terminano con una resa. Ho dovuto scoprire questa battaglia con la resa in me stessa ed infine stabilire cosa fare prima di potere facilitare l’accettazione da parte di Janet degli aspetti dissociati di se stessa. Quando sono stata in grado di contenere entrambi i ruoli del dramma nella mia mente - il sentimento di sconfitta e la mia testardaggine, la mia determinazione a senso unico per essere una buona terapeuta - siamo state capaci di risolvere l’impasse. Commenti come, “Mi chiedo se mi stai spingendo a fare quello che tua madre ha fatto con te” ha destato curiosità e una nuova prospettiva in Janet. Piuttosto che investire la sua energia nello sconfiggermi (un’opzione più sicura al posto di rischiare speranza e benessere), ha cominciato a fare emergere nel lavoro pezzettini di una speranza reale.

 

Controtransfert con i giochi di secondo grado

La definizione di Berne (1964/1996, p. 64) dei giochi di secondo grado sottolinea la natura

mascherata e nascosta di queste dinamiche, suggerendo che l’affettività in questi giochi è

contaminata da sentimenti di vergogna e senso di colpa. A differenza dei giochi di primo grado, che sono socialmente accettabili, i giochi di secondo grado sono riservati alle relazioni affettive come quelle all’interno della coppi, della famiglia e della terapia. In un contesto terapeutico, potrebbero essere inclusi quei momenti che dimentichiamo di menzionare in supervisione.

La seconda categoria di enactment di Britton (2007) evidenzia il modo in cui l’azione può

funzionare come un’alternativa al pensare, con la funzione di evitare pensieri e sentimenti non desiderati. L’autore suggerisce che c’è un elemento di rappresentazione simbolica, ma non è presente il pensiero del soggetto. Un esempio è uno dei miei clienti, che per due volte dimenticò di

pagare le sue sedute. L’atto del non pagare rappresentò un sentimento di vendetta non riconosciuto,

di cui era del tutto inconsapevole all’epoca. Non c’era alcun senso di “Io” connesso a questo atto, al “non ti sto pagando”. Allo stesso modo in cui, Peter, il piccolo paziente di Klein, evitò le sue pulsioni sessuali e aggressive indesiderate attraverso l’inibizione dell’attività del gioco.

Il controtransfert con i giochi di secondo grado è meno accessibile al processo cognitivo e spesso è esperito come un disagio emotivo senza nome. C’è la sensazione di avvertire qualcosa che non va ma non si sa cosa è (Bucci, 2001). I sentimenti che sono in conflitto con l'identità consapevole del terapeuta come figura d’aiuto competente e accogliente - cioè l’avidità, l’odio, l’egoismo, o il disgusto - possono facilmente evocare vergogna e senso di colpa. Una sensazione di ansia o di difesa può segnalare che si sta evitando qualcosa. La domanda centrale per il terapeuta non è cosa sto provando, ma cosa non sto provando?

Soth (2013) focalizza il concetto per cui essere consapevoli del proprio controtransfert ha molto senso quando si lavora con il nostro processo inconscio. Come riflettiamo sui sentimenti che sono fuori dalla consapevolezza? Il modello di Bucci (2011) della comunicazione emotiva e gli scritti di Ogden (1994/2004) sull’uso della reverie offrono entrambi delle guide similari per lavorare con i giochi di secondo grado. Secondo Bucci (2001) “l’immaginazione è il perno del processo referenziale” (p.62) che connette l’esperienza subsimbolica (ciò che sento a livello dei sistemi sensoriali, somatici e motori) ai significati simbolici verbali o alle parole. Le immagini, che appaiono nella mente del terapeuta attraverso associazioni libere fluttuanti, ricordi, canzoni, o sogni, rappresentano metafore di un’esperienza non espressa a parole. La riflessione sulla metafora consente al terapeuta di dare un senso a ciò che accade nella relazione. Per esempio, Jacobs (1986)

nota, nel suo lavoro con il signor K., un’associazione visiva con l’immagine di un oratore che si esibisce di fronte al pubblico estasiato. La riflessione dettagliata di Ogden (1986) sulle sue fantasie mentre lavora con un cliente segue lo stesso percorso, dal simbolo o immagine non verbale ad un simbolismo verbale con pensieri o parole.

Raramente uso la selfdisclosure in questo processo, e spesso il cambiamento emotivo del

terapeuta rappresenta il catalizzatore per il cambiamento, producendo una trasformazione nel campo interpersonale. L’insight spesso è in ritardo rispetto all’azione (Stern, 2010). La verifica finale dei nuovi significati che emergono deve poggiare in ultima analisi sulla scoperta del cliente o sulla “diagnosi fenomenologica” di Berne (191, p. 67). 

 

Mike

Mike aveva quasi sessant’anni e soffriva di ansia cronica, insonnia, depressione e altri sintomi da stress post traumatico correlato a una storia di violenza fisica e abusi sessuali da parte di suo padre.

Stava meditando il sudicio prima di cercare una terapia. La sua vita adulta era stata limitata da una sofferenza ossessivo-compulsiva che limitava seriamente i suoi processi di pensiero e le sue attività quotidiane. Per esempio, compulsivamente trasformava le targhe delle macchine in acronimi. Ma se gli veniva in mente un acronimo negativo, doveva farne 10 positivi prima di fare qualsiasi altra cosa.

Da bambino, Mike si era adattato alla tirannia di suo padre controllando con attenzione ogni interazione tra loro in un tentativo disperato di evitare di provocarlo. Provò a ricostruire più volte la sua età scolastica, quando si preparava alle regolari sedute di interrogazione, che finivano spesso in pestaggi nonostante i massimi sforzi di Mike. La follia di suo padre si è organizzata sulla piena negazione della realtà di Mike. La sopravvivenza dipendeva da un’intricata gestione dei suoi pensieri, comportamenti e parole.

Nella parte iniziale della terapia, Mike portava degli appunti ad ogni seduta e li leggeva. Se gli chiedevo di lasciare perdere del tutto i suoi appunti, appariva afflitto. Mike era una uomo garbato e gentile, molto piacevole e per niente richiedente. Comunque, mi sentivo un pochino inutile con lui, come se qualunque cosa dicessi sembrava non avere alcun impatto su di lui. Ad un certo punto feci il tentativo di parlare di questo processo con lui. Commentai che mi sembrava che lui vivesse i miei input come distruttivi. Mike disse che aveva l’ansia di potere dimenticare qualcosa di importante e s scusò di non lasciarmi spazio. Alla fine della seduta ci sentimmo entrambi incompresi.

Dopo poche sedute successive, Mike smise di portare i suoi appunti. Una sottile distanza si

insinuò tra noi, anche se apparentemente la terapia sembrava procedere abbastanza bene. Veniva regolarmente e non aveva più pensieri suicidiari. Un giorno gli chiesi in merito all’assenza degli appunti, e Mike mi confessò che li memorizzava prima di ogni seduta. E 'stato un momento doloroso. Sentiva di aver rotto una sorta di regola con gli appunti, e si comportava come se una specie di castigo fosse imminente. Mentre parlavamo di questo, Mike si rese conto che si stava comportando esattamente come aveva fatto da bambino. Era meticolosamente attento a non fare un passo sbagliato con me, nonostante la sua sensazione consapevole di fiducia. Alcune settimane più tardi, dovevo preparare un report per l’agenzia di assicurazione governativa che finanziava la terapia di Mike, e mi ritrovai a prendere appunti durante le sedute. Questo era inusuale per me, ma dissi a me stessa che mi stavo prendendo cura dell’ansia di Mike registrando i dettagli e date per il report. Mike chiese delle dichiarazioni scritte a sua sorella per documentare il suo report. Era ansioso di fare tutto bene per l’assicuratore e temeva di non essere creduto. Gli dissi

che non aveva bisogno di fornire delle prove e provai a rassicurarlo sul fatto che aveva fatto una richiesta valida di finanziamento. Tuttavia, Mike sentiva che stavo sminuendo la sua versione dei fatti. Diventò più distante, pur essendo sempre molto educato. Mi sentivo esasperata, come se tutto quello che facevo ci legava in nodi di incomprensione.

La situazione raggiunse un punto cruciale quando giunse la relazione del perito assicurativo con un dato fondamentale scorretto. La persona che fece la valutazione disse che le sue valutazioni erano corrette e che aveva un’email da parte di Mike come prova. Mike si sentì inascoltato, senza speranza, e rassegnato ad un mondo che non ascoltava. Durante questo periodo, mi raccontò di un sogno in cui stava pilotando un aereo che si schiantava a terra. Giungevano gli ispettori per investigare sull’incidente aereo e prendevano molti appunti. Loro parlavano e parlavano tanto su cosa pensavano fosse andato male. Mike nel sogno si sentiva frustrato, ignorato e disprezzava gli investigatori. Lui pensava, “Si, si, certo, ma cosa potrebbero sapere?”.

Ad un tratto mi accorsi di comportarmi proprio come un ispettore che investigava sullo schianto aereo con il mio quaderno ufficiale di appunti, e tentavo di dire a Mike che le sue lettere di prova non erano necessarie. Stavo lì in mezzo alle rovine della vita di Mike, con gli appunti in mano, annotando il danno con calma. Potevo vedere me stessa che agiva agli occhi di Mike come se fossi l'esperta e che la sua versione della verità era irrilevante. Ero diventata come suo padre arrogante in qualche misura, e mi chiedevo (con qualche difficoltà) se mi piaceva sentirmi responsabilizzata e importante dopo le settimane in cui mi ero sentita insignificante.

La mia frustrazione sparì velocemente, lasciando il posto a curiosità e compassione, e lasciai stare il mio quaderno di appunti. Il pattern di gioco emerse più chiaramente dalla nebbia dell’inquietudine. Mi sembrava che Mike e io eravamo stati presi da un tentativo furioso di controllare la relazione. Una dinamica diadica si stava attualizzando inconsciamente. All’inizio Mike controllava le sedute con i suoi appunti mentre io mi sentivo ignorata e senza potere; poi, con uno scambio di ruoli, io controllavo le sedute con i mie appunti mentre Mike si sentiva senza potere. Quando gli ho suggerito che i suoi appunti non sarebbero stati necessari, lui si è sentito ignorato, come se non ci fosse spazio per la sua realtà.

La furia che si nascondeva sotto queste interazioni è stata più difficile da vedere. Ho dovuto sentire la mia frustrazione per essere stata ignorata e la sottile gratificazione conferita dal potere, prima di potere capire cosa stesse succedendo a Mike. Gli appunti sembravano creare un intreccio di burocrazia che nascondeva una rabbia che ognuno di noi negava. Mentre parlavamo di questo, ho cominciato a chiedermi se Mike usava le sue ossessioni, come la burocrazia, per tagliare via la sua rabbia.

Nei mesi successivi, Mike sperimentò sentimenti profondi di rabbia e cominciò a correre il rischio di esprimerla e di affermare se stesso. Questo processo fu affrontato con ansia perché il riappropriarsi della sua rabbia stimolava in Mike il sentirsi come suo padre che odiava. Si rese conto che la sua calma, il suo modo sottomesso e le filosofie buddiste funzionavano come il mantello dell'invisibilità di Harry Potter, per nascondere un bambino furioso. Questi sentimenti di rabbia lo avrebbero messo in pericolo nella relazione con suo padre. Cominciai a considerare il gioco tra noi come un derivato del dramma originale tra un bambino indifeso che è costretto a sottomettersi ad un genitore violento. Dopo avere liberato la sua rabbia, seguì una marea di tristezza e di dolore, prima nei sogni confusi e infine nel pianto.

Questo esempio illustra un tipico meccanismo relativo a un processo controtransferale di secondo grado: dall’inquietudine fioca e dalla sensazione che qualcosa non va ad un cambiamento emotivo all'interno del terapeuta tramite la traduzione di un’immagine simbolica (l’ispettore che investiga sull’incidente aereo) che, in questo caso, è stato stimolato dal sogno del cliente.

 

Giochi di terzo grado

I giochi di terzo grado sono molto più prevedibili con i clienti che hanno sofferto traumi o

trascuratezze. In questo tipo di situazioni, affetti altamente tossici sono tagliati via o provocati negli altri con risultati che possono essere gravi e permanenti, incluso l’omicidio e il suicidio. In un setting di terapia, c’è spesso la minaccia di un finale improvviso, e talvolta il processo terapeutico finisce all’obitorio.

Britton (2007) cita il caso, riportato da Klein, del ragazzo che aggrediva sessualmente le ragazze e che rubava, come esempio di questo tragico livello di enactment. L’autore suggerisce che rileviamo questa forma di comportamento nei clienti adulti, che funzionano ad un livello borderline attraverso “azioni che penetrano l’analista in un modo viscerale” (p. 6). Britton argomenta che l’obiettivo prioritario a questo livello di enactment è liberare l’emozione non formulata, che è insopportabile e non solo indesiderata.

L’impatto sul terapeuta, che è coinvolto in un gioco di terzo grado, usualmente comporta una temporanea perdita della funzione riflessiva. Diventa impossibile pensare in quel momento, poiché il terapeuta, come il cliente, è sopraffatto da un’emotività disregolata. Lavorare con il controtrasfert in un gioco di terzo grado comporta l’attivazione fisiologica, spesso senza immagini o parole per attribuirgli un senso. Comprendere che cosa il cliente sta liberando nella sua mente richiede normalmente che il terapeuta, in una fase successiva della terapia, dopo che l'equilibrio emotivo è ritornato, traduca la sua esperienza somatica in immagini, metafore, e, infine, in pensieri e sentimenti.

Keri

Ho lavorato con Keri per 7 anni, e durate quel periodo sviluppò un transfert intenso che includeva sia sentimenti di amore che di odio. Un giorno, alla fine della seduta, Keri si rifiutò di lasciare la stanza. Provai vari modi per risolvere l’impasse ma senza alcun risultato. Avendo raggiunto un picco di disperazione, con un cliente in sala di attesa, le dissi che se continuava questo comportamento poteva significare che lei stava scegliendo di mettere fine alla terapia. Qualunque cosa stesse accadendo, ho pensato che non fosse psicoterapia. Nel mezzo di una enorme tempesta di proteste, tra cui accuse di crudeltà e indifferenza , Keri a malincuore se ne andò. Mi sentii sopraffatta e completamente destabilizzata. Ero decisamente pronta a mettere fine alla relazione.

Pensavo che era abbastanza. A questo evento sono seguiti comportamenti similari, che hanno implicato quello di stazionare davanti alla mia casa e osservare i miei bambini e anche aspettarmi vicino alla mia macchina a fine giornata.

Keri era cresciuta con una madre deprivante emotivamente e un padre sadico. In modo

consapevole, vivevo quest’ultimo incidente come un attacco ostile alla terapia. Sembrava che Keri fosse determinata a distruggere tutto il lavoro costruttivo che avevamo raggiunto e, sotto questa luce, l’enactment poteva essere compreso come una ripetizione dell’agito della crudeltà di suo padre. Comunque, in supervisione cominciai a farmi delle domande sulla mia esperienza viscerale di totale impotenza nel sentirmi incapace di accompagnarla fuori. Piuttosto che pensieri o sentimenti chiari, c'era dentro di me una sensazione come di un bambino indifeso aggrappato a una madre disperata che era pronta a scagliare il bambino fuori dalla finestra. Sentii un cambiamento tangibile in me e mi permisi di lasciarmi penetrare dalla sensazione nauseante di impotenza e, insieme a questa, da un nuovo senso di compassione per Keri.

Nella seduta che seguì, Keri rimase furiosa per il fatto che io avevo osato suggerire la fine della terapia e minacciò di denunciarmi a livello etico. Mi interrogai a voce alta sulla relazione adesiva e bisognosa. Disse che non sentiva niente del genere, fino a pochi giorni più tardi, quando mi raccontò un sogno in cui parlò di un bambino malato si infila nel letto con te’’. Seguirono una cascata di connessioni nelle quali Keri cominciò a rendersi conto che le sensazioni sessuali che aveva per lungo tempo provato nei miei confronti potevano avere più a che fare con aspirazioni profonde di sentirsi tenuta sicura tra le braccia di una madre. Ho potuto vedere adesso l’enactment come un tentativo di evacuare sentimenti intollerabili di impotenza infantile e bisogno emotivo. Gli stati irrimediabilmente conflittuali di un bambino indifeso e di una madre infelice erano stati attualizzati tra di noi, piuttosto che contenuti all'interno di ciascuna mente.

 

Conclusioni

La teoria dei giochi di Berne stabilisce un modello iniziale per comprendere il complesso processo intersoggettivo e i modi con cui noi reclutiamo l’altro per eseguire le parti nelle storie delle nostre vite. I suoi metodi si focalizzano maggiormente sulle strategie consapevoli cognitive, che sono valide per i giochi di primo grado e per la terapia di gruppo.

Spero che questo articolo possa contribuire a favorire una discussione in corso per lavorare con queste dinamiche dolorose e ricorrenti. Mi sono focalizzata sugli aspetti bidirezionali e non consci dei giochi in quanto questi si svolgono sul palcoscenico tra paziente e terapeuta. Lo schema che ho delineato propone tre modi di usare il controtransfert come una risorsa di informazioni per occuparsi di: (1) sentimenti e pensieri consci nei giochi di primo grado; (2) linguaggio simbolico non verbali, come le immagini, nei giochi di secondo grado; e (3) l’attivazione fisiologica con i giochi di terzo grado. La tabella 1 pone in relazione le idee di Berne sui gradi dei giochi con il modello di Bucci e i livelli di enactment di Britton. Questi modelli non sono equivalenti ma insieme possono offrire delle linee- guida nel lavoro con i giochi, come funzione di una comunicazione a più livelli.

Le mie brevi illustrazioni di questo processo suggeriscono più facilmente ciò che la realtà clinica presenta. Le immagini non sempre si connettono in modo ordinato ai significati, i nuovi significati possono essere profondamente inquietanti, l'esperienza viscerale è sempre allarmante, e l’identificazione di emozioni non simbolizzate di solito comporta una lotta intrapsichica con parti del sé che non vogliamo riconoscere. Nel bel mezzo di questo processo con il cliente, tendo a scartare una dozzina di risposte piuttosto soddisfacenti, togliendo ogni strato come un geco perde la pelle, finché non trovo qualcosa di crudo [grezzo ndt] all’interno. La risposta autentica spesso arriva “non invitata” (Stern, 2010, p. 138), come un ospite inaspettato nella notte, piuttosto che essere qualcosa di ricercato consapevolmente. Nella migliore delle ipotesi, possiamo essere accoglienti e aperti nei confronti di questo ospite inaspettato. Possiamo mantenere la porta aperta e imparare a

dare il benvenuto al disagio in questo lavoro, o almeno lasciarlo vivere lì. Come Searles

(1986/2004) ha compreso, la volontà di padroneggiare la propria esperienza soggettiva è forse il punto di maggiore forza del terapeuta.

La mia esperienza conferma la conclusione di Boesky (1990): “Se l’analista non si rende

emotivamente coinvolto presto o tardi, in un modo che non aveva previsto, l'analisi non procederà verso una conclusione positiva" (p. 573). Quello che possiamo fare in seguito con il nostro coinvolgimento emotivo è la chiave per usare i giochi e gli enactment come esperienze trasformative. L’abilità del terapeuta di collegare le emozioni incongrue e dissociate all’interno di sè può favorire la coerenza narrativa all'interno del cliente e in ultima analisi il senso di sé agente.

Invece di spiegare la verità di un gioco, l'obiettivo è quello di consolidare la capacità del cliente a simbolizzare l'esperienza o di tessere storie di vita che siano tollerabili e cariche di significato.

 

Tabella 1. Una guida per lavorare con i controtransfer

 

Berne (1961):

i gradi di intensità dei giochi

Britton (2007):

Livelli di enactment

Bucci (2001):

sistemi di conoscenza

Fenomenologia del controtransfert

Primo Grado

Enactment simbolico di un pensiero organizzato

Simbolico verbale: parole

Consapevolezza che qualcosa non quadra: sentimenti consci

Secondo Grado

Azione come alternativa al pensare e al sentire

Simbolico non verbale: immagini

Consapevolezza che qualcosa non va senza sapere di cosa si tratta

Terzo Grado

Evacuazione di esperienza non formulata

Subsimbolico: sistemi somatici, sensoriali, motori

Esperienza viscerale e perdita di capacità riflessiva

 

 

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Note


1)    Questo articolo è stato pubblicato in Transactional Analysis Journal, Vol 45, No.2, pp.104-116, Aprile 2015. E’ stato tradotto e ripubblicato con il permesso dell’autrice e dell’ITAA (International Transactional Analysis Association).


2)    Jo Stuthridge è didatta e supervisore in analisi transazionale (psicoterapia), membro dell’Associazione della Nuova Zelanda di Psicoterapia. Svolge la sua attività privata di psicoterapia in Dunedin ed è il direttore del Psysis Institute, che offre formazione in analisi transazionale. E’ attualmente professore e  ricercatore associato presso il Dipartimento di Psicoterapia e Counselling presso l’Università della Tecnologia di Aukland  ed è coeditore del Transactional Analysis Journal. Recapiti dell’autrice: Office: 85 Cliffs Rd., Dunedin 9012, New Zealand. L’autrice è profondamente grata ai suoi clienti che le hanno permesso di condividere queste storie.


email: jstuthridge@xtra.co.nz 


3)    Psicologa, psicoterapeuta, analista transazionale in training.


4)    NdR: le pagine indicate nelle citazioni si riferiscono ai testi originali.

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