La teoria analitico transazionale del gioco necessita di essere compresa all’interno del contesto più ampio delle idee di Berne sul transfert e sul copione. Negli anno 60’ Berne scrive sul transfert come un comportamento e un dramma, mentre nella psicoanalisi classica, il transfert era inteso in termini di percezioni e proiezione.
I giochi si presentano come parti di agglomerati maggiori e più complessi di transazioni denominati copioni.
Il copione appartiene al regno dei fenomeni di transfert, cioè un derivato, o più propriamente un adattamento di reazioni ed esperienze infantili. Però esso non si occupa semplicemente di una reazione di transfert o situazione di transfert; è un tentativo di ripetere in forma derivata un intero dramma transferenziale, spesso suddiviso in atti, esattamente come i copioni teatrali…(Berne, 1961, p. 117).
Un gioco può essere inteso come un atto centrale o una scena di copione. Questa idea, secondo cui il transfert è attualizzato e non è semplicemente un insieme di reazioni o sentimenti basati su proiezioni percepite, è stata un'innovazione centrale nel pensiero di Berne e costituisce la base della teoria del gioco e della teoria del copione. Berne cita le idee di Glover sul transfert come le più vicine al suo pensiero in quell’epoca: “La storia dello sviluppo del paziente. . . viene ri-recitata nella stanza dell’analisi (Glover, 1955, come citato da Berne, 1961, p. 129).
Berne era interessato al modo in cui il transfert è riattualizzato nel corso della vita, trasformando le nostre vite in giochi.
Un gioco comporta una sequenza di eventi in cui una persona utilizza inconsciamente l'altro, non solo per percepire il passato nel presente, ma per ottenere una risposta che conferma le sue aspettative transferali. Il partner di gioco diventa un personaggio nel copione.
Berne (1961) sviluppa la teoria dei giochi lavorando con i gruppi di terapia. Egli nota che i
partecipanti al gruppo si comportano come direttori di casting, scegliendo inconsciamente partner di gioco con “considerevole penetrazione intuitiva (p. 119), per riprodurre le parti richieste dal loro copione. “Quando ha assegnato tutte le sue parti, il paziente comincia a cercare di ottenere dalle persone che ha scelto per le singole parti le risposte desiderate” (p.119). Un gioco si verifica quando una sottile provocazione da parte di una persona (gancio) si aggancia all’ansia difensiva dell'altro (anello), spingendo, pressando, o pungolando l'altro per ottenere un previsto tornaconto comportamentale ed emotivo. Lo scambio di transazioni ulteriori crea un accumulo di tensione che porta ad un culmine (che potrebbe includere un scambio improvviso nei ruoli) e si conclude con un momento di sorpresa o di ironia drammatica. Ogni giocatore si chiede come mai sono arrivato qui?.
La descrizione berniana (1964/1996) dei giochi nelle relazioni della vita reale presuppone che ci siano sempre due giocatori, e che entrambi siano ugualmente intrappolati in dinamiche inconsce, ognuno impegnato a giocare una parte del proprio copione personale. Tuttavia, quando Berne scrive sui giochi nella stanza di analisi, egli ritiene, in sintonia con il pensiero tradizionale a lui contemporaneo, che se un terapeuta viene catturato in un gioco o agisce il suo controtransfert, questo rappresenta un errore grave (Berne, 1972, pag. 352). Ciò significava che il terapeuta aveva bisogno di più terapia o di formazione.
Secondo Berne (1964/1996), “la procedura terapeutica corretta” (p. 78) comporta il riconoscimento oggettivo dell’invito del cliente al gioco, rifiutando di giocare il ruolo complementare e usando poi la confrontazione per svelare le dinamiche sotterranee. Per esempio, nel gioco “Gamba di Legno” con un paziente che evita uno stato di benessere, il messaggio ulteriore del paziente è “cosa ti aspetti da un malato?” e l’antitesi è “Non mi aspetto nulla, la domanda è cosa ti aspetti tu da te stesso?”.
Il metodo berniano implica due assunti chiave: il primo è quello per cui i giochi nella stanza di terapia sono unilaterali (coinvolgendo solo il copione del cliente) e il secondo è quello per cui un terapeuta competente può essere consapevole sia della provocazione del cliente sia della propria esperienza controtransferale. Questi due assunti sono stati da allora seriamente messi in discussione dalla teoria dell’enactment.