La teoria dei giochi di Berne stabilisce un modello iniziale per comprendere il complesso processo intersoggettivo e i modi con cui noi reclutiamo l’altro per eseguire le parti nelle storie delle nostre vite. I suoi metodi si focalizzano maggiormente sulle strategie consapevoli cognitive, che sono valide per i giochi di primo grado e per la terapia di gruppo.
Spero che questo articolo possa contribuire a favorire una discussione in corso per lavorare con queste dinamiche dolorose e ricorrenti. Mi sono focalizzata sugli aspetti bidirezionali e non consci dei giochi in quanto questi si svolgono sul palcoscenico tra paziente e terapeuta. Lo schema che ho delineato propone tre modi di usare il controtransfert come una risorsa di informazioni per occuparsi di: (1) sentimenti e pensieri consci nei giochi di primo grado; (2) linguaggio simbolico non verbali, come le immagini, nei giochi di secondo grado; e (3) l’attivazione fisiologica con i giochi di terzo grado. La tabella 1 pone in relazione le idee di Berne sui gradi dei giochi con il modello di Bucci e i livelli di enactment di Britton. Questi modelli non sono equivalenti ma insieme possono offrire delle linee- guida nel lavoro con i giochi, come funzione di una comunicazione a più livelli.
Le mie brevi illustrazioni di questo processo suggeriscono più facilmente ciò che la realtà clinica presenta. Le immagini non sempre si connettono in modo ordinato ai significati, i nuovi significati possono essere profondamente inquietanti, l'esperienza viscerale è sempre allarmante, e l’identificazione di emozioni non simbolizzate di solito comporta una lotta intrapsichica con parti del sé che non vogliamo riconoscere. Nel bel mezzo di questo processo con il cliente, tendo a scartare una dozzina di risposte piuttosto soddisfacenti, togliendo ogni strato come un geco perde la pelle, finché non trovo qualcosa di crudo [grezzo ndt] all’interno. La risposta autentica spesso arriva “non invitata” (Stern, 2010, p. 138), come un ospite inaspettato nella notte, piuttosto che essere qualcosa di ricercato consapevolmente. Nella migliore delle ipotesi, possiamo essere accoglienti e aperti nei confronti di questo ospite inaspettato. Possiamo mantenere la porta aperta e imparare a
dare il benvenuto al disagio in questo lavoro, o almeno lasciarlo vivere lì. Come Searles
(1986/2004) ha compreso, la volontà di padroneggiare la propria esperienza soggettiva è forse il punto di maggiore forza del terapeuta.
La mia esperienza conferma la conclusione di Boesky (1990): “Se l’analista non si rende
emotivamente coinvolto presto o tardi, in un modo che non aveva previsto, l'analisi non procederà verso una conclusione positiva" (p. 573). Quello che possiamo fare in seguito con il nostro coinvolgimento emotivo è la chiave per usare i giochi e gli enactment come esperienze trasformative. L’abilità del terapeuta di collegare le emozioni incongrue e dissociate all’interno di sè può favorire la coerenza narrativa all'interno del cliente e in ultima analisi il senso di sé agente.
Invece di spiegare la verità di un gioco, l'obiettivo è quello di consolidare la capacità del cliente a simbolizzare l'esperienza o di tessere storie di vita che siano tollerabili e cariche di significato.
Tabella 1. Una guida per lavorare con i controtransfer
Berne (1961): i gradi di intensità dei giochi |
Britton (2007): Livelli di enactment |
Bucci (2001): sistemi di conoscenza |
Fenomenologia del controtransfert |
Primo Grado |
Enactment simbolico di un pensiero organizzato |
Simbolico verbale: parole |
Consapevolezza che qualcosa non quadra: sentimenti consci |
Secondo Grado |
Azione come alternativa al pensare e al sentire |
Simbolico non verbale: immagini |
Consapevolezza che qualcosa non va senza sapere di cosa si tratta |
Terzo Grado |
Evacuazione di esperienza non formulata |
Subsimbolico: sistemi somatici, sensoriali, motori |
Esperienza viscerale e perdita di capacità riflessiva |